Industria 4.0 spinge il reshoring: 121 imprese rientrano in Italia
Più che gli incentivi economici, a determinare la scelta le necessità del time-to-market, la logica del “made in” e il servizio agli utenti. Barbieri (Unibo): “Così si garantisce innovazione, controllo e vicinanza al cliente”
Tra gli effetti attesi dall’avvento di Industria 4.0 su scala globale uno è quello del “reshoring”, il rientro delle linee di produzione all’interno dei confini nazionali, per contenere i costi e i tempi della logistica, per amplificare l’effetto del “made in”, per migliorare il sevizio per i clienti. E’ quanto emerge dagli ultimi dati dell’osservatorio Uni-Club MoReBack-Reshoring, composto da un team di lavoro interuniversitario degli atenei di Modena, Catania, L’Aquila, Udine e Bologna.
Sarebbero infatti 121 le aziende che hanno riportato la produzione in Italia dall’inizio della crisi (delle quali 35 in Veneto e 21 in Emilia Romagna), ricostruisce sul Sole24Ore Ilaria Vesentini anticipando i risultati della ricerca, e appartengono ai settori della moda (41%), elettronica (25%), e meccanica (16%). Nel 46% dei cai, inoltre, si parla di rientri dall’Asia, e nel 24% dall’Est europeo. Complessivamente, i casi sarebbero 376 in Europa e 329 nel Nord America. A guidare questo processo di “rientro” delle aziende ci sarebbe, secondo la ricerca, la necessità crescente per le aziende di produrre prodotti su misura, di alta qualità e consegnabili in tempi rapidissimi.
“Il reshoring è un fenomeno strettamente correlato alla forza di filiere e distretti che concentrano competenze e flessibilità – afferma Paolo Barbieri, professore di Scienze aziendali all’università di Bologna – e che garantiscono perciò quel plus di qualità, ricerca, innovazione, controllo, autenticità e vicinanza al cliente che non si possono assicurare demandando i processi a stabilimenti in Asia o in Est Europa”.